Con la sentenza depositata il 12 luglio (ricorso n. 14737/09, Sneersone e Kampanella contro Italia, http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/portal.asp?sessionSimilar=74064607&skin=hudoc-en&action=similar&portal=hbkm&Item=1&similar=englishjudgement), la Corte europea dei diritti dell’uomo è intervenuta in una vicenda riguardante la sottrazione internazionale di un minore, facendo il punto sui rapporti tra norme della Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale del minore, disposizioni del regolamento Ue n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale e norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La Corte, che ha accertato una violazione da parte dell’Italia dell’articolo 8 che riconosce il diritto al rispetto della vita privata e familiare, ha stabilito che il ritorno di un minore illecitamente sottratto da un genitore non può essere deciso in modo automatico, senza tenere conto della situazione effettiva del bambino nel momento in cui è adottato il provvedimento – che deve essere adeguatamente motivato – e degli effetti negativi che potrebbe causare la separazione dalla madre.
Questi i fatti. Dopo la separazione di una coppia costituita da un italiano e da una lettone, residenti in Italia, il bambino, affidato alla madre, era stato condotto dalla donna in Lettonia perché il padre del bimbo non contribuiva al sostegno economico del minore, situazione che le impediva di vivere in Italia. Di qui il ricorso del padre al Tribunale per i minorenni di Roma con la richiesta di affidamento esclusivo accolta dai giudici italiani. Le autorità interne, poi, avevano anche disposto il ritorno del minore in Italia: il provvedimento, però, non era stato riconosciuto ed eseguito dal tribunale lettone in quanto contrario all’interesse superiore del minore.
La Corte europea, dopo aver chiarito che nell’applicazione sia della Convenzione dell’Aja sia del regolamento Ue le autorità nazionali sono obbligate a tenere conto delle norme della Convenzione europea, ha affermato che, prima di decidere il ritorno del bambino, le autorità statali devono accertare in dettaglio tutti i motivi di rischio per il minore, escludendo che le semplici rassicurazioni del padre, per quanto certe, possano essere adeguate ai fini dell’interesse del bambino. E questo anche quando è applicato l’articolo 11 del regolamento n. 2201/2003 in base al quale il ritorno del minore può essere disposto anche in caso di rischio grave se nello Stato di origine sono adottate misure protettive (con una soluzione diversa dall’articolo 13 della Convenzione dell’Aja). Per la Corte, l’Italia non ha valutato attentamente i danni psicologici che il bambino poteva subire dal rientro in Italia, tenendo conto che non parlava la lingua italiana e che aveva avuto scarsi legami con il padre. Senza dimenticare che le autorità italiane non hanno in alcun modo preso in considerazione un’alternativa al rientro del minore in Italia che avrebbe potuto assicurare contatti adeguati tra padre e figlio. Di qui la condanna all’Italia.
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